venerdì 19 giugno 2015

Da Ventimiglia a Charleston è un attimo.

Un Oceano e diverse ore di volo separano l'Europa dagli Stati Uniti, ma un filo inquietante e pericoloso ci unisce, ci tiene stretti, ci sta soffocando.
Mentre in Europa assistiamo da diversi giorni al dramma di centinaia di migranti bloccati in un limbo fatto di ipocrisia, che come una ferita aperta sulla nostra pelle, brucia ogni giorno di più; dall'altra parte dell'oceano, a Charleston, si consumava l'ennesima strage di afroamericani.
Mentre qui c'era chi, per due voti in più, creava panico tra la gente demonizzando chi scappa da fame, guerra e miseria additandoli come portatori di malattie e pericolosi potenziali criminali;
a Charleston il ragazzo bianco 21enne autore della strage diceva "devo farlo, stuprate le nostre donne e state conquistando il nostro paese. Dovete andarvene".
Mentre qui forze di polizia inseguivano migranti per i campi per rispedirli al confine più vicino con le buone o con le cattive, senza voler sapere neanche il motivo per il quale intendevano raggiungere con tutte le loro ultime forze quella terra; a Charleston, Dylann Roof faceva irruzione in una chiesa facendo fuoco sulla gente afroamericano che pregava, uccidendo nove persone di età compresa tra i 26 e gli 85 anni. 
Qualcuno in questi giorni mi ha detto "ma dove andremo a finire?", ma la domanda giusta da farsi è "dove siamo andati a finire?". 
Come se avessimo bisogno sempre di crearci un nemico, quel Pharmakos dell'antica Grecia  dove era usanza scegliere un uomo per la sua bruttezza o diversità, nutrirlo per un anno, e poi nel giorno stabilito cacciarlo dalla Città a sassate e frustate. 
Si discute in questi giorni in Europa di politiche di accoglienza, in America di un maggiore controllo delle armi ma in realtà, tutti sappiamo che contro il degrado dell'umanità, inteso proprio come sentimento etico, non esiste alcuna ricetta o cura immediata. 
E' un cancro che ci portiamo dentro anche inconsciamente, a cui bisogna cercare di togliere un pezzo alla volta di generazione in generazione.
Per fortuna, nonostante tutto, ogni tanto qualche segnale incoraggiante lo si trova:




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